YUE K’IN
Avevo nella mia scuola una ragazza cinese, secca e lunga come una scopa, ma con una bellissima voce flautata. Non per niente si chiamava Yue k’in, che in cinese vuol dire “liuto a forma di luna”.
Debbo confessare che, da quando c’era questa ragazza, con particolare piacere mi facevo trovare sul portone della scuola a salutare l’uscita degli alunni. Era davvero bello ascoltarla. “Buon giolno signol pleside”, flautava lei mentre passava insieme a tutti i suoi compagni di classe.
Ma più il tempo passò e più il saluto di Yue k’in andò perdendo la sua musicalità ed infine svanì del tutto, ingoiato dalle abitudini meno gentili dei compagni. E nello stesso tempo ho visto con disappunto apparire nei suoi occhi il disincanto. Aveva capito che il dirigente di una comunità educativa ed i professori non andavano troppo presi sul serio e la cultura, con loro, andava piuttosto trattata come merce svalutata.
I professori neanche avevano previsto che la mancanza di riguardo verso il capo d’istituto avrebbe rappresentato per loro stessi una mancanza di riguardo e che tutto questo avrebbe rappresentato una mancanza di rispetto verso la cultura e le potenzialità stesse dell’apprendere.
Solo partendo da simili constatazioni si può comprendere l’enormità di una ferita che ogni anno viene inflitta al sapere, con le occupazioni studentesche e le vacanze arbitrarie ed immotivate dalla scuola, le quali determinano una media di assenze del 48% negli istituti superiori; solo così si riesce a concepire che nei pressi di un liceo della mia città, dove ogni mattina passano un migliaio di studenti e decine di professori, possa permanere a caratteri di scatola una scritta – ANDREOTTA PRESIDE MIGNOTTA – rivolta ad una preside che non c’è più, senza che alcuno abbia mai sentito l’esigenza di portarsi con un barattolo di vernice a coprire tale vergogna.
Se penso a tutto questo, ora che sono lontano dalla mia scuola per servire tante scuole, come mi manca, Yue k’in, il tuo saluto di liuto.